Il giudizio della coscienza e la coscienza del giudizio

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Abbiamo vari gradi di coscienza, la cui etimologia deriva dal latino:conscientia, a sua volta derivato da cum-scire. Scire in latino vuol dire scindere, spaccare, lacerare: tutto ciò implica il discernimento.

Il primo grado della coscienza è l’autocoscienza. Quando veniamo al mondo, man mano acquisiamo conoscenze delle cose che appaiono, le quali poi diventano ‘saperi’: ora, non solo il sapere di una cosa, ma il sapere di sapere quella cosa, ovvero la consapevolezza del sapere quella cosa.Questa è l’autocoscienza.

Così, un po’ alla volta, costruiamo i nostri saperi nel tempo.

Adesso, tanti saperi uno sull’altro, intersecati tra loro, formano una vera e propria rete di saperi, che diventano normedi comportamento e quindi coscienza morale, che è soggettiva, in quanto ognuno l’ha costruita con le esperienze personali.

Prof Elio Bava

L’io che fa esperienza individua nei saperi dei valori rivolti al proprio benessere, attraverso l’intelletto pratico, cioè il giudizio di coscienza.

Facciamo un esempio. L’autocoscienza mifacapire che in un giardino con tanti frutti alcuni sono amari, altri urticanti e uno dolce; quindi a mie spese, dopo aver scelto quelli sbagliati, amari o urticanti, ho scelto quello dolce, che mi piace; e poi ne ho scoperto un altro, che mi piace meno ma mi fa bene perché è ricco di vitamine. Allo stesso modo l’intelletto pratico ha scoperto che il bene è unvalore più alto del piacere.

Il mio intelletto pratico, vale a dire il mio giudizio di coscienza, giudica questa azione che diventa norma di comportamento e la storicizza facendone un valore. E ciò vale per le prossime volte.

 Così come diventano norme l’adeguarsi al vivere sociale con i propri simili, nel proprio contesto sociale, vale a dire le leggi,quello che si può fare e quello che non si deve fare.

Ma ecco che accade ancora un’altra cosa: mi trovo in una stradina di campagna, ho fame e vedo un giardino con tanti frutti, come quello di cui ho già avuto esperienza, vale a dire il frutto dolce e che mi fa anche bene. Il cancello è aperto e nessuno mi vede, ho fame, non mangio da giorni, il giudizio di coscienza ritiene la norma della coscienza morale ingiusta. Ma ecco che poi interviene, nel suo accadere immediato, di improvviso, nella mente, un giudizio che s’apre in ogni singola azione che ci si propone: non è bene prendere una cosa che non è mia nonostante io abbia fame e non mi veda nessuno. Ecco, questo ‘improvviso’ nella mente è la coscienza del giudizio.

Dunque la coscienza del giudizio può contraddire il giudizio di coscienza, perché essa è separata dal conscio e dall’esperienza: quindi è un ‘prima’ già insito nell’essere umano perché è sempre orientata al senso di giustizia in maniera uguale in tutti gli esseri umani,in ogni tempo e non è influenzata dall’io e dai suoi desideri; ed accade, così, a volte, che l’io rinuncia a se stesso in nome di questa verità.

C’è da chiedersi allora: perché la coscienza del giudizio è orientata sempre al bene? Se il bene non è una valutazione acquisita dalla esperienza dei sensi, allora non resta altro da dire che il bene è la nostra origine.

La coscienza del giudizio è innegabile quanto si tratta della verità originaria: non la si può cercare e quindi dimostrare attraverso la nostra verità negabile, a conferma che la coscienza del giudizio ci colloca prima dell’autocoscienza, quindi prima dell’acquisizione sensoriale dell’apparire delle cose del mondo. E, quindi,  prima della coscienza morale e, allo stesso modo, dialtre aree negate alla comprensione del nostro pensare  e alle ipotesi evolutive mai confermate delle neuroscienze. In sostanza, si fa riconoscere alla mente nel suo apparire immediato, senza alcuna spiegazione logica o scientifica.

Lo stesso processo accade per l’atto creativo o per le percezioni premonitive, che non hanno un prima; ebbene, se queste aree delle quali non abbiamo fatto nessuna esperienza non sono misurabili con le neuroscienze, ne deriva che non sono proprietà mentali: è qui che abita la coscienzadel giudizio, il cui apparire non dipende dall’io e spesso non coincide con le scelte operate dal giudizio della coscienza.

 Tradotto nei termini più accessibili e sintetici. Intendo il giudizio di coscienza quale giudizio dell’intelletto pratico che giudica la coscienza morale; e la coscienza del giudizio quale l’apparire immediato di un giudizio

da parte di un quid già insito in ogni essere umano, in ogni singola azione, in misura indipendente dall’io e dalla sua coscienza morale.

Elio Bava

 

 

 

 

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