La comunicazione al tempo del Coronavirus secondo Margherita De falco

Coronavirus: quando la comunicazione, nonostante sia di fronte all’invasione di un “nemico” di cui sanno poco persino virologi e scienziati, invece di limitarsi a raccontare i fatti, peccando di eccessivo protagonismo, raccoglie fiumi di opinioni, generando confusione e paure negli ascoltatori e lettori.

Dott.ssa Margherita De Falco

Margherita De Falco: “A partire dal 9 marzo 2020, la vita quotidiana degli italiani è stata stravolta. Già c’era stato un allarme al Nord Italia, ma quella sera del 9, giungeva in tutte le case la comunicazione che l’Italia, a causa di un’epidemia, era dichiarata “zona protetta”.

Nessuno sapeva ancora che cosa questo comportasse, ma poi, ci è voluto poco a realizzare che il Covid-19 metteva tutti di fronte ad una situazione del tutto inedita. È stato come perdere improvvisamente la stabilità, è stato come camminare sulle sabbie mobili, e trovarsi in una condizione nella quale l’unico rimedio per potersi salvare è di avere la lucidità di stare fermi per provare a risalire all’indietro.

Da allora nei TG di tutte le reti e nei programmi di attualità e cultura, nonché in Internet, c’è stato letteralmente il delirio delle parole nell’affanosa ricerca di voler spiegare ciò che nessuno poteva saper spiegare. Hanno parlato tutti, rappresentanti dell’OMS, nomi insigni della medicina, virologi, infettologi, immunologi, membri della Protezione Civile, o del Comitato tecnico scientifico, scienziati indipendenti. Hanno espresso le loro esperienze e conoscenze una marea di personaggi e tutte le componenti politiche e istituzionali.

Si sono pronunciate le Forze dell’Ordine, chiamate a intervenire sul rispetto dei Decreti. In seguito, è stata chiamata ad esprimersi una Task Force con a capo l’ex Amministratore Delegato della Vodafone. Veramente esorbitante il numero di parole che hanno attraversato le Reti pubbliche e private e cavalcato in lungo e in largo le praterie dello sterminato mondo del Web.

Questo tormentone continuo e incessante, giorno dopo giorno, ha investito la gente che è rimasta schiacciata sotto una valanga di parole, di video, di ordinanze e di proclami, rimanendo infettata dalla vischiosità di quanto avevano ascoltato. La comunicazione è davvero stata “virale”. Parola del resto, molto spesso usata sui social per indicare un video, una notizia, una foto che viene condivisa in maniera esponenziale sui media sociali, sui post, tanto da espandersi come un virus in modo diffuso e rapido.

D’altro canto, la comunicazione in questi giorni, pur essendo davvero debordante, oltre le umane possibilità di ricezione, ossessiva al punto tale da causare la perdita della lucidità, dà comunque lo sconforto e la sensazione frustrante di non aver appreso nulla. Notizie contraddittorie e confuse oltrechè vere e proprie fake news, sempre deleterie, ma in questo contesto ancor più pericolose; un ulteriore disorientamento in una situazione di smarrimento. L’unica cosa chiara, l’unico punto fermo è l’hashtag# IORESTOACASA.

Apriamo una parentesi sugli anglismi che risultano essere non sempre comprensibili a tutti come la parola “hashtag”. L’hashtag #, cioè il cancelletto, può essere in questo caso, metafora dello sbarramento in cui siamo finiti, della palude in cui stiamo annaspando. E sono proprio “etichettare e cancelletto” due parole chiave di questo linguaggio martellante e irritante che mina l’equilibrio individuale e collettivo, poiché sconvolge non solo la quotidianità, ma anche l’ordine di idee di ciascuno.

Adesso, buona pratica è non uscire, mentre prima si raccomandava l’attività motoria per il salvaguardare il proprio benessere psicofisico; oggi, guerriero non è chi combatte, ma chi sta a casa. Il tutto per il nostro bene. Quindi, stare a casa è cosa giusta. Lo dobbiamo accettare anche perché siamo tutti nella stessa barca. Ma può risultare invece una pesante e insopportabile restrizione per chi non ne condivide in pieno l’efficacia e si sente vittima di un sistema che si vorrebbe garantisse di stare al sicuro sì, ma svolgendo la propria vita. Un padre di famiglia buono non chiude in casa i propri figli per proteggerli, non gli taglia le ali per tenerli sotto una campana, ma cerca di costruire un mondo dove poter volare liberamente.

Ma la realtà oggi è questa, ci costringe a casa e l’unica finestra sul mondo per l’uomo, cosiddetto animale sociale, è la comunicazione passiva attraverso tv e social. Ecco perché ascoltiamo le notizie, infatti esse rappresentano l’unico legame con l’esterno. Scopriamo che la vita di ognuno è sospesa, siamo ridotti a moltitudine inerte che aspetta, rinvia, continua a pazientare. Il messaggio è questo e lo abbiamo acquisito come un dato di fatto.

La comunicazione, consapevole di essere divenuta quanto mai protagonista privilegiata e talvolta unica, dovrebbe essere vera, sincera, delicata e persino, talora silenziosa. Essa, sempre più frequentemente, invece riflette la confusione del momento, interpreta gli avvenimenti in maniera enfatica, non dà solo informazioni oggettive, in modalità neutra e non rappresenta una guida per le persone, specialmente quando sarebbe più che doveroso osservare la realtà circostante, quando è fatta dei cortei di camion con le bare di morti, senza rito funebre, senza adeguata sepoltura, e senza ultimo saluto, raccontando i fatti sì, ma con il debito rispetto.

Ma la cosa più inquietante è la violenza nei messaggi rivolti alla popolazione, un linguaggio che usa termini marziali avvisando la gente, alla maniera di un caporale che parla ai soldati, di non dover mai abbassare la guardia, di essere vigili, perché “il nemico è sempre in agguato”. Rivolgersi alle persone in questo modo però, è davvero vincente? Lo scopriremo solo soprav-vivendo. La difesa qual è? #Restate a casa. Di fronte all’invasione di un “nemico” invisibile di cui si sa ancora poco e che ci ha colti impreparati, anche i virologi sono impotenti, disinformati, privi di conoscenze in materia e in attesa di studi e della Ricerca.

L’unica cosa certa che ci dicono è che sia bene non uscire, non incontrare gente, non rivedere i propri cari, i figli, i nipoti, i fidanzati. È devastante, è un graffio al cuore, un proclama davvero lacerante per chi ascolta. In questo modo, il magma delle parole si espande, sommerge e confonde le menti, paralizza il cervello, mira a ridurre la libertà di pensiero, obbliga all’ubbidienza incondizionata. In fondo siamo soltanto spettatori chiusi in casa, costretti davanti agli schermi a non partecipare, a guardare e obbedire a leggi date da chi ammette di non sapere! Gaber diceva, “La Libertà non è uno spazio libero, la Libertà è partecipazione.” Una partecipazione resa oggi impossibile”.
Margherita De falco

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